“Come il fabbro prende la barra di ferro e col fuoco ne cambia la forma, così noi abbiamo mutato la nostra natura. Non siamo più donne, siamo uomini.” – soldatessa Agoije
Erano note come le più sanguinarie guerriere d’Africa. Pericolose quanto un serpente infido, intrepide, spietate e leggendarie. Il solo sentirle nominare faceva accapponare la pelle ai loro nemici.
Le Mino del Dahomey, conosciute dagli europei come le Amazzoni del Benin, non erano altro che un gruppo di coraggiose donne combattenti, addestrate appositamente per proteggere il loro sovrano. Il termine “mino”, nella lingua parlata fon, significa, per l’appunto, “madri”.
Ai giorni nostri, fortunatamente, non costituisce più nulla di scandaloso sentir parlare di donne facenti parte dell’esercito; infatti, nel corso della storia, le leggende sulle donne guerriere sono pervenute a noi sin dai tempi antichi. Basti pensare alle più famose Amazzoni, le mitiche guerriere raccontate nella letteratura classica, le quali, secondo Erodoto, vivevano nelle steppe a nord-est del fiume Don. Naturalmente vengono descritte dagli Antichi Greci come snaturate e crudeli, in netto contrasto con gli ideali di matrimonio e maternità, imprescindibili per una donna dell’epoca. Il rifiuto di quel ruolo, ci insegna il mito, porta necessariamente ad una società incivile.
Nessuno è mai riuscito a verificare se le Amazzoni della classicità siano esistite realmente o no, eppure una plausibile testimonianza è stata ritrovata durante gli scavi archeologici russi nei pressi delle rive del Don; fu rinvenuto uno scheletro femminile, accanto a cui erano stati deposti una spada e un giavellotto. Senza dubbio questo non costituisce una prova certa, ma sicuramente ci racconta qualcosa di più sul fatto che in alcuni archetipi di società con costumi molto diversi da quelli degli Antichi Greci fosse possibile, per una donna, essere addestrata nell’arte del combattimento.
Invece, la storia delle Agoije è certamente comprovata, anche se meno conosciuta. Grazie alla recente pellicola della regista Gina Prince-Bythewood, The Woman King, uscita in Italia il 1° dicembre 2022, ci viene mostrato il mondo di queste “spietate soldatesse”. Il tutto improntato su coraggio, forza e sorellanza.
Il film prende ispirazione da fatti realmente accaduti: il Dahomey – attuale Repubblica di Benin – intratteneva un importante giro d’affari con il cosiddetto “uomo bianco”, dato che circa il 20% degli schiavi importati in America provenivano dai prigionieri di guerra del regno. Le Agoije rappresentavano un peculiare corpo di milizia della guardia reale, costituito, appunto, da sole donne, specificatamente addestrate per garantire la protezione del sovrano.
Si narra che le origini di queste Mino risalgano al XVII secolo, quando non erano altro che una manciata di cacciatrici di elefanti talmente abili da lasciare impressionato il loro stesso re. É probabile che la loro “fondatrice ufficiale” sia stata la regina Tasi Hangbé, salita al trono nel 1708 in seguito alla morte improvvisa del fratello gemello. La storia ci riporta che Tasi, pur di guidare l’esercito in battaglia, indossò i panni del gemello morto e per questo fu obbligata a lasciare il trono, venendo anche cancellata dalla lista dei sovrani Dahomey. Tuttavia, pare che, prima della rinuncia al titolo, la regina abbia formato un suo personale gruppo di guardie del corpo tutto al femminile, che sarebbero poi state trasformate in una vera e propria unità militare nel corso degli anni successivi.
Sicuramente il fatto che solo alle guerriere Agoije fosse concessa la permanenza a palazzo dopo il tramonto dimostra quanto fosse un privilegio entrare a far parte della guardia reale, il cui nome originale era “N’nonmiton”, ossia “le nostre madri.”
Alcune fanciulle si arruolavano volontariamente, altre, invece, venivano portate con la forza da padri o mariti che si lamentavano del loro atteggiamento troppo aggressivo e irrispettoso; caratteristica che veniva poi coltivata durante l’addestramento, per renderle non solo delle temibili combattenti, ma anche insensibili al dolore fisico e alla morte.
Naturalmente non tutte le ragazze potevano diventare Agoije: solo le più forti, coraggiose e capaci venivano selezionate, dopo un durissimo addestramento. Fondamentale, oltre all’insegnamento della disciplina e delle tecniche base di sopravvivenza – venivano abbandonate una settimana nella savana con solo un machete e una manciata di viveri – era fondamentale l’essere spietate: una delle prove più ardue per le aspiranti guerriere era proprio quella di gettare un prigioniero di guerra da una rupe altissima. Tutto questo per cancellare qualsiasi forma di empatia o sensibilità.
Durante la permanenza nella guardia reale, le Agoije non potevano maritarsi né avere figli, a differenza dei loro colleghi maschi; teoricamente erano sposate con il re, il quale era però tenuto a rispettare il loro voto di castità, il che le rendeva delle semi-divinità.
Armate di machete e fucili a pietra focaia, combattevano valorosamente e non si ritiravano mai da una battaglia se non all’ordine del loro sovrano, anche a costo di lottare fino alla morte. La diserzione non era minimamente contemplata. Agli inizi del 1800, alcuni esploratori britannici raggiunsero il regno di Dahomey e rimasero assolutamente impressionati da queste terrificanti “donne – soldato”. Uno di loro annotò nel suo diario di viaggio: “tale era la dimensione dello scheletro e lo sviluppo muscolare del corpo, che in molti casi si poteva capire solo dal seno che erano donne.”
Nel XIX secolo, una buona parte dell’esercito Dahomey era costituito da Agoije; seimila, per l’esattezza, considerate eguali, se non addirittura superiori, ai soldati uomini, tanto da ricevere il soprannome di “Sparta Nera.”
Nonostante la brutalità e spietatezza dell’addestramento, per molte donne fu un vero e proprio onore servire nei ranghi delle N’nonmiton. Lo status di guerriere consentiva loro di essere ascoltate e di scalare diverse posizioni di potere e influenza, fino a sedere nel Gran Consiglio del governo. Nel film The Woman King, il generale delle Agoije – interpretato magistralmente da Viola Davis – viene infatti candidata per diventare pugito, ossia la “donna – re.”
Nel 1890 i soldati francesi ingaggiarono un aspro conflitto con il Dahomey per colonizzarlo, trovando una forte resistenza da parte delle Mino; solo le mitragliatrici furono in grado di annientarle. La maggior parte delle soldatesse perì nel corso delle 23 battaglie della seconda guerra di conquista del regno, tuttavia i soldati europei testimoniarono il loro incredibile coraggio. In seguito, il Dahomey divenne un protettorato francese – reso indipendente nel 1960 – e quella sconfitta segnò per sempre la fine dell’epopea delle Agoije. L’ultima di loro, Nawi, morì nel 1979, all’età di 100 anni.
In pochi erano a conoscenza di questo piccolo, eppure così ricco, pezzo di storia dell’Africa coloniale. La visione del film, combinata perfettamente con la colonna sonora del candidato all’oscar Terence Blanchard, trasmette tutta la carica, la potenza e la forza di queste temibili donne guerriere. A differenza delle Amazzoni greche, le Agoije non sono state solamente un mito: erano donne in carne e ossa che hanno lottato, hanno sofferto, sono morte per rimanere fedeli al loro sovrano. Meritano di essere ricordate con tutto rispetto nel corso della storia a venire, non solo come formidabili soldatesse, ma anche – e soprattutto – come donne che hanno avuto la forza necessaria per non cadere mai.
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