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Immagine del redattoreManuel Gallace

Binker & Moses e il suono del nostro tempo

Aggiornamento: 15 ago

“Non è utopia supporre che tra una cinquantina d’anni

la categoria jazz sarà difesa dai soli bianchi,

fedeli all’immagine bloccata di un tipo di rapporti,

d’una forma della negritudine.”

I dannati della terra

Frantz Fanon


Il sassofonista Pharoah Sanders ci ha lasciati solo un paio di mesi fa, dopo aver dato luce nel 2020 al suo testamento spirituale con l'album Promises. In collaborazione con il Disc Jokey inglese Floating Points e la London Symphony Orchestra, Sanders improvvisava i suoi toccanti spirali Soul che lo hanno contraddistinto da sempre, sopra una base elettronica fluttuante, lasciando posto nel meraviglioso movimento 6 agli archi della London Symphony Orchestra, calandosi in un'atmosfera commovente ed intima, in un ibrido minimalista, tra spiritual jazz, elettronica e classica.

E' doveroso partire da qui per comprendere l'ultimo coraggioso album Feeding the Machine di Binker & Moses, duo di spicco della scena Nu Jazz Inglese in fervore negli ultimi anni, controcultura nata dai sobborghi afro caraibici di Londra, tra casuale spontaneità e sforzo politico nel creare uno spazio sociale inesistente fino a quel momento, facendo proprio dell'insieme culturale e di un'idea inclusiva e organica di società il suo punto di forza. Mentre la maggior parte dei musicisti nu-jazz, tra i nomi più illustri, Shabaka Hutchings (considerato un po' la guida del movimento), Nubya Garcia, Sheila Maurice-Grey, prende grande ispirazione dal funk e dall'hip-hop ed influenze afro caraibiche, questo album sceglie un percorso diverso, raccogliendo le proprie contaminazioni dalla scena musicale elettronica britannica, principalmente dub e breakbeat.

Dopo aver fatto parlare di se con il bellissimo Journey to the Mountain of Forever nel 2017, dove impressionano le capacità alla batteria di Moses da far scomodare uno come Max Roach, ed essersi un po' cullati con due album registrati dal vivo in compagnia di nomi illustri come Evan Parker, i due con Feeding the Machine rinnovano il suono grazie alla manipolazione dei nastri ed un inserimento massiccio dell'elettronica, trovando un suono rarefatto e cupo, a tratti apocalittoco, con trame tra purezza e contaminazione incredibilmente calate nel nostro tempo. Rispetto a Promises, le tracce di questo disco si tuffano in acque differenti, mentre nell'album di Sanders ci si liberava dal dolore con un distacco mistico, in Feeding si passa per una catarsi più terrena, dove il sassofono di Binker "urla" con echi alla Albert Ayler, come nella prima Asynchronous Intervals, oppure si estende in una voce lontana vicina all'ambient jazz nella centrale Accelerometer Overdose, dove un'apparente calma iniziale scandita dai battiti dissonanti di Moses esplode in un finale Free che lascia abbagliati.


Si prosegue su queste direttive per tutto l'album fino al capolavoro finale, i nove minuti di Because Because. Risuona un'eco lontana che sembra mimare una minacciosa sirena d'allarme alla Jon Hassel entra in gioco il vortice soprano che disegna un trip incalzante come una disperata richiesta d'aiuto che sembra chiedersi il perché del buio dei nostri tempi. Il suono evoca venti di tempesta, attraverso un lavoro il filtraggio elettronico di Max Luthert che non cancella, ma esalta inesorabilmente la forza poetica del suono. L'album è aperto con un'increspatura di sassofono che risuona spettrale, e si chiude così con note che svaniscono nei fantasmi di se stesse. Scintillii di piatti e ottoni frenetici si spingono avanti e indietro, nuovi strati che si trasformano costantemente dentro e fuori dal primo piano.

Mentre la maggior parte dei musiciscti nu-jazz, tra i nomi più illustri Shabaka Hutchings (considerato un po' la guida del movimento), Nubya Garcia, Sheila Maurice-Grey, prende grande ispirazione dal funk e dall'hip-hop ed influenze afro caraibiche, questo album sceglie un percorso diverso, raccogliendo le proprie contaminazioni dalla scena musicale elettronica britannica, principalmente dub e breakbeat in una personale evocazione dell'uomo macchina che può ricordare in alcuni spunti i Kraftwerk più robotici.

La narrazione implica qualcosa che può essere interpretato con la crescita inenarrabile dell'industria intesa come regresso, e la necessità che culture diverse si influenzino a vicenda per evolversi in qualcosa di migliore. Nonostante Feeding the Machine sia un prodotto con più contaminazioni che può far storcere il naso ai puristi del jazz, quando viene da chiedersi come può il Jazz tutto far riaccendere i riflettore su di sé, la risposta è proprio in gemme come questa.


“Parlo con ragazzini di sedici anni

e ascoltano Pharoah Sanders.

Questa è una cosa bellissima,

perché ero strano mentre lo facevo io.

Adesso è tutto molto più integrato.

Questo è quello che abbiamo sempre voluto."

Moses Boyd


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