Elaborato nel XV secolo, il libro contiene testi e immagini che nessuno specialista è riuscito a decifrare.
La scrittura, sin dalla sua nascita oltre cinquemila anni fa, permise agli esseri umani di trasmettere messaggi complessi tramite lettere e segni. Fin da subito si svilupparono anche codici segreti per crittografare testi di contenuto religioso, politico, diplomatico o militare, che solo gli iniziati potevano decifrare. Tutte le civiltà hanno sempre usato questi sistemi: i sumeri, i greci, i romani, i mongoli e, nell’ultimo secolo, vi hanno fatto ricorso tutti i Paesi, soprattutto in guerra.
I manoscritti e i testi cifrati conservati fino a oggi sono molti e sono stati decifrati con relativa facilità analizzandone i codici, di solito abbastanza semplici. Ma c’è un’eccezione, ossia un manoscritto che nessuno è ancora riuscito a interpretare. Il Voynich è considerato il testo più strano del mondo e attualmente è conservato nella Beinecke, la sezione della Biblioteca dell’Università di Yale che raccoglie i manoscritti e i libri antichi e rari.
Scritto su una sottile pergamena di capretto, questo codice di circa 240 pagine (ne mancano alcune e altre sono ripiegate), di 23,5 per 16,2 centimetri di formato e di 5 centimetri di spessore, contiene centinaia di disegni e 37.919 parole con 25 lettere o caratteri distinti. Non ha, tuttavia, autore, titolo, data e nemmeno capitoli. Le analisi al carbonio 14 hanno permesso di datare la produzione della pergamena tra il 1404 e il 1434. La grafia è la scrittura umanistica a caratteri latini, usata in Europa occidentale tra la prima metà del XV e i primi del XVI secolo.
Da dove viene?
La prima notizia dell’esistenza del Voynich risale al 1580, quando l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, appassionato di esoterismo, magia e stranezze di ogni tipo, lo acquistò per la notevole somma di 600 ducati da due inglesi, il mago John Dee che affermava di comunicare con gli angeli tramite le pietre assieme al truffatore Edward Kelley.
Nel XVII secolo il manoscritto passò di mano in mano fino ad approdare al convento gesuita di Villa Mondragone a Frascati, dove nel 1912 venne acquistato dal mercante di antichità Wilfrid Voynich, dal quale poi prese nome. Nel 1931, poi, la vedova di Voynich lo vendette alla segretaria, che lo rivendette a un antiquario newyorchese, Hans Peter Kraus. Questi non riuscì a rivenderlo e finì per regalarlo all’Università di Yale nel 1969.
Tentativi di decifrarlo.
Nel corso del XVI secolo vari studiosi cercarono, invano, di decodificare il Voynich. Nel XVIII secolo ci riprovarono l’alchimista Jacobus Horcicky de Tepenecz, il bibliotecario imperiale Georg Baresch e il professore dell’Università di Praga Johannes Marcus Marci. Fu quindi la volta del gesuita Athanasius Kircher, famoso per i suoi tentativi di decifrare i geroglifici dell’antico Egitto, ma neppure lui riuscì a raccapezzarsi!
Nel XX secolo, più precisamente nel 1921, si cimentò nell’ardua impresa il professor William R. Newbold, dell’Università della Pennsylvania, che rischiò letteralmente di impazzire. Il testo è stato analizzato anche da alcuni esperti statunitensi di crittografia, che hanno utilizzato tecniche sperimentate nella Seconda guerra mondiale, nonché da filologi, sia professionisti sia amatoriali. Tutti hanno fallito nell’impresa.
Si è provato a decifrarlo applicando sistemi tradizionali, come sostituire una lettera con un’altra o assegnarle un valore numerico, ma senza risultati coerenti. Sono state usate le griglie cardaniche, inventate nel XVI secolo da Girolamo Cardano, e programmi informatici che hanno prodotto centinaia di migliaia di possibili combinazioni, sempre senza successo. Se si tratta di un libro crittografato, il suo codice è così complesso che nessuno è riuscito a penetrarlo. Per questa ragione è stato ipotizzato che possa essere stato scritto in un linguaggio occulto sconosciuto, che è stato ribattezzato “voynichese”.
A quanto si può capire dalle illustrazioni, il testo conterrebbe descrizioni di riti esoterici. I disegni di piante, stelle e donne potrebbero rappresentare simboli alchemici. Alcune delle proposte interpretative avanzate sono davvero bizzarre. C’è chi ha attribuito la paternità del manoscritto al monaco inglese Ruggero Bacone, ma questi visse nel XIII secolo, mentre il Voynich risalirebbe al secolo successivo. Si è ipotizzato che fosse stato scritto dai catari o che fosse un adattamento di un testo ucraino in lettere latine. Oppure che fosse opera di Leonardo (perché sembra scritto da un mancino come lui e contiene elementi propri del Rinascimento italiano). O perfino che l’autore fosse Filarete, architetto della metà del XV secolo, perché vi compare il profilo di un edificio simile alla torre del Castello Sforzesco di Milano, progettato appunto da lui, e anche perché alcune illustrazioni ricordano i tubi di scarico da lui disegnati per l’Ospedale Maggiore milanese.
Il libro misterioso
Di fronte all’apparente incoerenza del Voynich si è pensato possa trattarsi di uno scherzo o di una truffa. Si crede perfino che sia stato elaborato attorno al 1580 dallo stesso John Dee, mago, matematico e appassionato di esoterismo, insieme al socio Edward Kelley, già processato in Inghilterra per falsificazione di documenti. Insomma, potrebbe essere stato un modo per ingannare l’imperatore Rodolfo II e sottrargli un’ingente quantità di denaro.
Di fronte all’impossibilità di tradurne il contenuto, il professore della Keele University Gordon Rugg ha riproposto nel 2004 la teoria della truffa. Ma questa ipotesi presenta un problema: il manoscritto esisteva già un secolo prima che Kelley lo potesse falsificare. Se aveva davvero intenzione di scherzare, quindi, l’autore ci ha preso fin troppo gusto. Ancora oggi il Voynich non è stato tradotto e non è stato possibile trovare un codice che ne permetta l’interpretazione, ammesso che l’abbia. Inoltre la disposizione dello scritto non risponde alle norme che regolano la struttura semantica delle lingue note: molte parole si ripetono, in alcune occasioni fino a tre volte nella stessa riga e 15 volte nella stessa pagina (per esempio «ollcet, ollcetcius, ollcetcius...»).
Vengono rispettate, invece, altre strutture formali, come la scrittura da sinistra a destra, anche se priva di punteggiatura (alcuni paragrafi sono però preceduti da stelle e asterischi). Il testo rispetta anche la cosiddetta “legge di Zipf”, secondo la quale nelle lingue note la lunghezza delle parole è inversamente proporzionale alla loro frequenza. Forse il mistero più grande del codice è il fatto che sembra essere scritto da un’unica mano, con un tratto fluido e privo di incertezze, lettere omogenee e molto regolari, praticamente identiche, senza un solo errore: qualcosa di straordinario per un manoscritto. Che sia stato realizzato utilizzando un modello o un sistema di matrici per tracciare lettere e parole? Forse L’enigma è destinato a rimanere tale!
Mistero della scrittura…
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