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Immagine del redattoreGiorgia Micucci

Else Lasker-Schüler: l’anima randagia del Principe di Tebe

Aggiornamento: 15 ago

“Il più forte e impervio fenomeno lirico della Germania moderna” così la definì Karl Kraus, scrittore satirico austriaco tra i più rilevanti dell’epoca e uno dei suoi principali sostenitori artistici e personali.

In effetti a vederla anche solo in foto Else Lasker-Schüler sembra quasi irraggiungibile in quella posa rigida come una spada, gli occhi scuri spalancati ed indagatori di chi non si arrende alle barriere sociologiche e culturali del suo tempo.

Nata nel 1869 in una famiglia borghese di ebrei tedeschi in Vestfalia, la piccola Else dimostra sin dalla più tenera età la ferrea volontà di discostarsi dal mondo di fronte a lei.

Capace di leggere e scrivere già a quattro anni, Else sviluppa un emotività letteraria quasi viscerale arrivando al punto di sentirsi male ogni qualvolta veniva pronunciata una parola non di suo gusto; la famiglia accoglie affettuosamente le inclinazioni della piccola di casa (Else era l’ultima di sei fratelli), in quel periodo storico le aspirazioni poetiche femminili in Germania erano ampiamente accettate e molte giovani non facevano mistero del loro animo da Dichterin (poetessa in tedesco) considerato particolarmente affine allo stereotipo femminile creativo e delicato del tempo, a patto che non venissero meno i valori borghesi che si premuravano di confinare comunque le loro lodolette tra quattro mura a declamare i loro versi a mezza bocca.

E’ soprattutto la madre, Jeanette Kissing, ad essere per Else un punto di riferimento artistico ed accogliente e la sua morte porta la giovane poetessa, allora ventunenne e già screziata dal crescente antisemitismo che già si respirava in Germania nei primi del Novecento, alla prima grande crisi esistenziale della sua vita a cui pone rimedio sposandosi quattro anni dopo con il primo marito, il medico Berthold Lasker, e trasferendosi con lui a Berlino.

Nella capitale tedesca Else frequenta il celebre Café des Westens, fucina di avanguardie artistiche fino al 1917, ed inizia ufficialmente il suo tormentato ed impetuoso percorso artistico.



Le sue prime poesie vengono pubblicate nel 1899 nella rivista “Die Gesellschaft” mentre nel 1902 Styx, la sua prima raccolta ufficiale, ottiene un grande successo di critica.

Dopo la fine del suo primo matrimonio intreccia varie relazioni con alcune grandi personalità artistiche del tempo come Peter Hille ,Georg Levin e soprattutto Gottifried Benn a cui dedica alcune delle sue liriche più struggenti.

La poetessa dai grandi occhi perennemente sbalorditi riesce a farsi strada nell’ambiente grazie ai riverberi orientaleggianti delle sue poesie e prose, all’amore fisico ed immaginifico al tempo stesso che trasuda dalle sue parole, nel 1905 esce la sua seconda raccolta Der siebente Tag e neanche due anni dopo dà alla luce Die Nächte der Tino von Bagdad.

Ed è così che Else diventa al pubblico il “principe di Tebe”, figura androgina ed affascinante che talvolta si esprime in “mistico asiatico”, lingua da lei inventata affermando di averla appresa in sogno.

Il discostamento così radicale dalla figura eterea della Dichterin borghese porta Else a scontrarsi con una vita randagia fatta di vagabondaggio e precarietà, che tuttavia non la ferma dal pubblicare le sue “Ballate ebraiche” nel 1913 e varie altre poesie nella rivista “Der Sturm”.

Dopo alcuni anni trascorsi in Svizzera per tutelare la salute dell’amato figlio Paul, nel 1923 si scontra duramente con il suo editore e pubblica il pamphlet Ich raume auf! (Io sistemo le cose) ed inizia a pubblicare e mettere in scena drammi teatrali.

Nel 1932 crea grande scandalo vincendo il premio Kleist con la sua opera Artur Aronymus acuendo ancora di più su di sé le mire della stampa nazionalsocialista che in nome dell’arte degenerata la perseguita.

Nel 1933 riuscirà a fuggire a Zurigo, poi in Palestina dalla quale non farà più ritorno in Europa, nel 1943 pubblica la sua ultima, lacerante raccolta intitolata Mein Blaues Klavier (Il mio pianoforte azzurro) e lavora fino ai suoi ultimi giorni all’opera teatrale Ichundich (Io ed io): articolata continuazione del Faust goethiano dove quest’ultimo e Mefistofele osservano inorriditi dall’inferno Adolf Hitler conquistare il mondo.

Il 22 Gennaio 1945 la sua anima inquieta, randagia e variopinta trova la pace.



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