“Erano assai lontani gli occhi suoi. | Da ragazzo era già stato in cielo. || Perciò le sue parole sgorgavano | su nuvole azzurre e su bianche.”
Le parole della poetessa tedesca Else Lasker-Schüler descrivono con dolce malinconia un Ungaretti perduto che declama il suo dolore in alemanno; una vita ingarbugliata tra l’amore e la morte alla ricerca di pace.
Georg Trakl nasce a Salisburgo in una famiglia borghese, condivide l’unico periodo sereno della sua esistenza, l’infanzia, con la sorella Grete di quattro anni più piccola.
Nel corso della sua vita si aggrapperà costantemente a quell’unica parvenza di speranza, intrecciando con lei un rapporto potentissimo, fatale, inconcepibile, morboso nonostante la purezza delle intenzioni.
Grete sarà l’unica ispirazione positiva nel suo doloroso percorso artistico, Georg dedica a lei le sue parole più struggenti; leggendole si rimane in un limbo, tra orrore e sentimento, e ci si chiede come da una relazione così nefanda e torbida possa suscitare una tale bellezza.
Georg non è uno studente brillante, nonostante la fulgida scintilla lirica non riesce a far pubblicare i suoi versi, e in seguito alla bocciatura all’ esame finale del ginnasio decide di andare a lavorare in una farmacia come apprendista.
In quel frangente, appena diciottenne, inizia ad avvicinarsi alle droghe che lo accompagneranno per tutta la vita, soprattutto la cocaina.
La sorella inevitabilmente si allontana, prende marito, eppure l’ombra degli occhi tristi di Georg la perseguiterà anche a distanza, oppressa da quell’amore senza senso, abominevole. Il senso di colpa e la vergogna la attanagliano, ma mai si distaccherà del tutto dal fratello.
Nonostante il dolore bruciante di quella separazione Georg riprende gli studi, va all’università laureandosi in farmacia nel 1910, fino al 1912 presta servizio militare come Ufficiale Sanitario.
Non riuscirà mai a tenersi un lavoro, si licenzia dopo sole due ore da un ambito posto al Ministero dei Lavori pubblici; una mente in eterno conflitto, sfolgorante nella sua indecente armonia, non può essere imprigionata dietro ad una scrivania.
Georg brama emozioni, le ricerca spasmodico nelle amicizie illuminate con altrettante anime geniali e martoriate come il pittore Oskar Kokoschka, il filosofo Ludwig Wittgenstein, l’architetto Adolf Loos, il caustico autore satirico Karl Kraus.
Riesce finalmente a pubblicare a Lipsia una raccolta di poesie, eppure solo nella droga e nell’alcool trova beatitudine dal fragore senza quiete della sua mente sconquassata.
Allo scoppio della Grande Guerra viene richiamato in servizio, e durante la battaglia di Grodek il fato assesta il colpo definitivo allo spirito di Georg.
Novanta feriti gravi, senza strumenti e farmaci, solo come la morte in quell’ospedale da campo malandato.
Due giorni e due notti di sangue e grida, il soldato vestito di bianco sente la propria anima sfaldarsi come i tredici contadini ruteni che trova impiccati su un albero di fronte alla tenda.
Troppo, semplicemente troppo.
Troppo dolore, troppa solitudine, troppe urla, troppe bombe.
Riesce appena a descrivere la follia che lo circonda nelle poesie Grodek e Klage (lamento) II, e tenta il suicidio una prima volta.
Lo salvano, ma dopo un mese dedica l’ultimo pensiero alla sorella sempre amata, e di nascosto assume così tanta cocaina da farsi quasi esplodere il cuore.
A ventisette anni.
Grete, incatenata ormai al fratello da un filo invisibile e tagliente, quasi impazzisce alla notizia della sua morte. Tre anni dopo il suo matrimonio finisce ed è economicamente sul lastrico; senza Georg che riusciva a rendere più sopportabile la vita nonostante lo scandalo e l’ignominia non ha altra scelta.
Si spara un colpo di pistola, alla ricerca della serenità perduta.
Pure silenziosa si raduna fra i salici
rossa nube, soggiorno di un dio furente,
il sangue sparso, argentea frescura;
tutte le strade sfociano in nera putredine.
(da “Grodek”)
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