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Immagine del redattoreBeatrice Gioia

Io sono Malala, la voce della resistenza

Aggiornamento: 15 ago

“Sedermi a scuola a leggere i libri insieme a tutte le mie amiche è un mio diritto. Vedere ogni essere umano sorridere di felicità è il mio desiderio. Io sono Malala. Il mio mondo è cambiato, ma io no.” –

Malala Yousafzai


Al giorno d’oggi siamo abituati a considerare l’istruzione come un diritto scontato, anzi spesso disprezzato dagli stessi studenti. La scuola è noiosa e si ha sempre l’impressione di sprecare il proprio tempo. Eppure, proviamo a fare un piccolo esperimento: immaginiamo che, in questo preciso istante, circa la metà della popolazione esistente si spenga; immaginiamo che perda non solo la possibilità di parlare, ma anche la capacità di farlo, che le venga negata la possibilità di esprimere i propri pensieri, le proprie idee. I propri sogni, le speranze riguardo il futuro, l’ambizione, l’intelligenza. Solo un silenzio assordante che regna sovrano, quello dell’ignoranza e dell’oppressione.

Terrificante, vero? Eppure, tutto ciò non è un mero esperimento: questo silenzio esiste già ed è più vicino a noi di quanto immaginiamo. Ci sono paesi neanche troppo distanti dove le donne devono tacere, e non per loro scelta. La condizione femminile in Pakistan è fra le peggiori al mondo: con una struttura sociale rigidamente patriarcale, la maggior parte delle donne non lavora né studia e la nascita di una figlia femmina viene vista come un peso; le ragazze incontrano continuamente ostacoli per studiare e di conseguenza arrivare a sviluppare una loro linea di pensiero, una propria visione del mondo per lasciare un segno a livello politico, economico e sociale risulta sempre più difficile.

Tuttavia, nel luglio 1997 è nata un’eccezione, una ragazza come tante, che però avrebbe cambiato per sempre il corso della storia; una ragazza che ha avuto l’opportunità di rompere questo silenzio forzato e alzare coraggiosamente la testa, iniziando a pretendere ciò che avrebbe sempre dovuto essere suo di diritto. E che non ha più smesso di far sentire la sua voce.


“Pensavamo che i talebani potevano prendersi le nostre penne e i nostri libri, ma non potevamo impedire alle nostre teste di pensare.”


Malala nasce a Mingora, nel nord del Pakistan, un luogo meraviglioso ricco di rovine storiche e vegetazione rigogliosa; i genitori sono musulmani sunniti che si sono sposati per amore, andando quindi contro le usanze locali che prevedono una sorta di “matrimonio combinato”, e decidono di darle il nome di una famosa poetessa e guerriera locale, Malalai. Secondo la tradizione, la nascita di un maschio va festeggiata con dolci e monetine nella culla; e se, invece, nasce una femmina? Come riporterà la stessa Malala negli anni a venire: “Ero una bambina venuta alla luce in un paese in cui, quando nasce un maschio, tutti escono in strada e sparano in aria, mentre le femmine vengono nascoste dietro una tenda, perché già si sa che il loro ruolo sarà semplicemente quello di far da mangiare e mettere al mondo figli.”

Il padre è un uomo dalla mente acuta, un attivista politico che, nel corso della sua carriera, ha fondato e diretto una serie di istituti privati femminili; si occupa personalmente dell’istruzione della sua preziosa figlia femmina, credendo fin da subito nel suo potenziale e nella sua intelligenza. Da piccola, Malala sognava di diventare una dottoressa, tuttavia il padre la vedeva già come la futura leader politica del suo popolo; per questo le insegna l’inglese e la sprona a impegnarsi nello studio.

Alla fine del 2007, Malala ha dieci anni quando comincia l’invasione da parte dei Talebani, che devastano l’economia turistica e la storia locale, deturpano i monumenti e cercano di imporre la legge islamica: viene proibita ogni forma di arte e divertimento, comprese la televisione, la lettura e la musica, viene ordinato alle donne di indossare il burqa ed esse vengono segregate in casa, vedendosi togliere di colpo ogni diritto, compreso quello all’istruzione. Le donne, per i talebani, devono restare in silenzio.

Qualche politico locale prova a opporsi a questi soprusi: le loro teste mozzate vengono lasciate in bella vista nelle piazze della capitale. Il processo di islamizzazione radicale sembra inarrestabile.

Nel 2008, la BBC entra in contatto con il padre di Malala per avere notizie sul regime dei Talebani e lo informa che stanno cercando una ragazzina che ancora vada a scuola per curare un blog dove può descrivere la situazione che la circonda con ancora uno sguardo umile e innocente. Data la situazione di notevole tensione, nessuna bambina aveva accettato l’offerta, temendo per la propria vita: Malala, invece, non ha neanche un attimo di esitazione. Così, tramite lo pseudonimo “Gul Makai” (letteralmente, “fiore di granoturco”), creato per proteggere la sua identità, ad appena undici anni inizia a scrivere a mano su fogli di carta tutti i suoi pensieri, che poi passa di nascosto a un reporter che li scannerizza e li invia via mail alla redazione della BBC.


“Ho fatto un sogno terribile ieri, con gli elicotteri militari e i Talebani. Ho fatto sogni così dall’inizio dell’operazione militare nello Swat. Mia madre mi ha fatto la colazione e sono andata a scuola. Avevo paura di andare perché i Talebani hanno emesso un editto che vieta alle ragazze di andare a scuola. Solo 11 alunni su 27 hanno frequentato la lezione.” (estratto dal primo articolo di Malala)


In tal modo, Malala racconta al mondo le sue paure, mentre la valle dove è cresciuta perde progressivamente le sue libertà civili, schiacciata dalla forza militare dei guerriglieri. Ben presto il blog diventa famoso e alcuni estratti finiscono su un giornale locale; per terrorizzare chiunque stesse osando opporsi, i Talebani fanno saltare in aria le scuole per ragazze. In risposta ad atti così vili, nel 2009 anche gli istituti maschili vengono chiusi, in solidarietà nei confronti di quelli femminili. Il 7 febbraio 2009, Malala riporta che in strada c’è un silenzio spaventoso; va al supermercato con il fratello per comprare un regalino per la mamma, ma trova tutto sprangato. Nel frattempo, la sua casa viene rapinata e le portano via la televisione.

Nella giornata del 15 febbraio 2009 per le strade di Mingora volano proiettili, ma il padre riferisce ai figli di non avere paura, perché sono gli spari per la pace. Infatti, ha saputo da alcune fonti certe che il governo e i guerriglieri stanno per firmare un accordo che, forse, metterà fine agli scontri. Il 18 febbraio viene invitato presso un talk-show nazionale e si espone apertamente contro i Talebani, incarnando ufficialmente un punto di riferimento per la resistenza sociale all’invasione.

L’accordo viene effettivamente firmato e le scuole riaperte, con il solo obbligo di indossare il burqa. Tuttavia, l’apparente pace è molto precaria, tanto che Malala descrive il rumore di mortai che sente in lontananza e tutti i suoi timori riguardo il fatto che la situazione possa precipitare di nuovo da un momento all’altro. A causa della notorietà del blog, i Talebani riescono a risalire alla sua vera identità, così il documentario viene bruscamente interrotto. A maggio l’esercito del Pakistan ritorna nella regione per riprendere definitivamente il controllo e iniziano gli scontri armati; Mingora viene evacuata e Malala fugge in campagna da alcuni parenti, mentre il padre si reca nella capitale per mettersi a capo delle proteste. La famiglia Yousafzai sta alzando troppo la cresta, i leader Talebani conoscono bene i loro nomi e li minacciano ripetutamente di morte, ma il capofamiglia non arretra di un centimetro.

Finalmente, il 24 luglio 2009 Mingora viene liberata. Malala è ormai una vera celebrità, il simbolo per eccellenza della lotta per l’istruzione femminile, così continua fervidamente il suo attivismo, tanto da ispirare le ragazze oppresse di tutto a pretendere un’istruzione e un futuro. Quella di Malala, in particolare, è la voce più ribelle di tutte, una ragazzina di 14 anni che fa tremare i Talebani.

Passano alcuni anni e la situazione rimane stabile. Finché un giorno, nell’ottobre 2012, il furgone telonato che riporta le studentesse a casa da scuola viene bloccato per un controllo; un uomo armato e con indosso un passamontagna sale di scatto e urla: chi è Malala?

Le bambine tacciono, imperterrite, ma istintivamente le più piccole si girano a guardarla. Allora l’uomo le punta una pistola in faccia e spara. Di colpo, di nuovo il silenzio.


“Alcuni di noi scelgono vie buone e altri vie cattive. La pallottola sparata da una persona mi ha colpito, mi ha fatto gonfiare il cervello, mi ha rubato l’udito e ha tagliato il mio nervo facciale sinistro, tutto nello spazio di un secondo. Ma, passato quel secondo, ci sono stati milioni di persone che hanno pregato per la mia vita e medici bravissimi che mi hanno restituito il mio corpo. Io ero una brava ragazza che nel suo cuore aveva solo il desiderio di aiutare gli altri.”


Miracolosamente, Malala non muore. L’attentato viene immediatamente rivendicato dai Talebani, i quali giustificano il loro atroce gesto come “necessario per eliminare un simbolo di infedeltà e oscenità.” Nel frattempo, tutto il mondo rimane con il fiato sospeso per le condizioni gravissime di Malala e da ogni dove giungono offerte per aiutarla; alla fine la ragazza viene trasportata d’urgenza in elicottero fino in Inghilterra, dove esce dal coma dopo otto giorni. Però ora ha il viso e la testa sventrate dal proiettile, così subisce diverse ricostruzioni della parte sinistra del cranio, inoltre le viene impiantata una protesi acustica per permetterle di recuperare l’udito.

Il suo omicidio mancato ottiene l’effetto opposto rispetto a quello che volevano i Talebani: ora lei è dappertutto, internet esplode in suo supporto e scoppiano rivolte in Pakistan, in Europa e negli Stati Uniti; quel fiume in piena di proteste e petizioni porta alla ratifica della prima legge storica sull’educazione in Pakistan.

Nel corso di un’intervista, quando viene chiesto alla famiglia Yousafzai se ha timore di tornare in Pakistan dopo l’attentato, il padre di Malala risponde: “Che mia figlia sopravviva o no, non lasceremo il nostro paese. La nostra ideologia richiede la pace. I Talebani non possono fermare tutte le voci indipendenti con la forza dei proiettili.”

In occasione del suo sedicesimo compleanno, nel luglio 2013, Malala rompe il suo silenzio e tiene un discorso epocale presso la sede dell’ONU a New York, il suo primo intervento pubblico dopo il mancato assassinio. Le sue parole, ricche di una nuova tenacia, sono più affilate che mai.


“I terroristi pensavano che avrebbero cambiato le mie mire e fermato le mie ambizioni, ma niente è cambiato nella mia vita, eccetto questo: la debolezza, la paura e il senso d’impotenza sono morti. La forza, il potere e il coraggio sono nati. Non sono qui contro nessuno, non sono qui per parlare di vendetta personale contro i Talebani o qualunque altro gruppo terrorista. Sono qui per alzare la voce per il diritto all’istruzione di ogni bambino. Voglio istruzione per i figli e figlie dei Talebani e per tutti i terroristi e gli estremisti.”


Il 10 ottobre 2014, a 17 anni, risulta essere la più giovane vincitrice della Liberty Medal della National Constitution Center per il suo impegno nelle libertà civili, ma, soprattutto, vince il Premio Nobel per la Pace insieme all’attivista indiano Kailash Satyarthi “per la loro battaglia contro la repressione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’educazione.”


Da allora, Malala riceve premi e riconoscimenti, inaugura diverse scuole e associazioni no-profit…ma, soprattutto, continua ancora oggi a lottare per il cambiamento che vuole imprimere al mondo. Ha perdonato i suoi assalitori, perché ritiene che il perdono sia la miglior vendetta che si possa ottenere, inoltre si rende conto che quel ragazzo che le ha sparato abbia agito pensando, erroneamente, di fare la cosa giusta secondo l’ideologia con cui è stato istruito.

Forse Malala sarebbe diventata una grande dottoressa, chi può dirlo. Ma, senza ombra di dubbio, il destino le ha riservato un cammino ben più luminoso: grazie alla sua grinta e al suo coraggio, ormai possiamo affermare che sia diventata ben più che un’icona per la lotta alla parità di genere e al diritto all’istruzione. Malala è la voce che si alza contro un mondo che la vuole zitta. È la speranza di milioni di ragazze e ragazzi a cui è stato strappato il futuro. È la promessa che quel silenzio, così terrificante, può essere spezzato.


“È per quei bambini dimenticati che vogliono un’’educazione. È per quei bambini spaventati che vogliono la pace. È per quei bambini senza voce che vogliono un cambiamento.” – estratto dal discorso di Malala alla cerimonia di premiazione del Premio Nobel per la Pace.


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