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Livia, Messalina e Agrippina:le ribelli di Roma

Aggiornamento: 15 ago

“Le donne hanno tutto il diritto di fingere di non pensare.”

Seneca


Roma, Roma. Così ricca di potere e conquista. Così avanti sotto certi aspetti e altrettanto arretrata in altri. Quando si pensa alla sua grande passato, viene difficile immaginare che anche le donne possano aver avuto un ruolo da protagoniste: la società romana dell’epoca era prettamente maschilista e patriarcale, esaltava la figura femminile solo per le sue virtù morali e domestiche, affinché si comportasse onorevolmente sia nella vita pubblica che in quella privata. Le donne non possedevano alcun diritto civile, rimanevano sotto la patria potestas prima del padre e poi del marito per tutta la vita. Non potevano partecipare alla vita della città, né ricoprire alcun incarico pubblico o servire nell’esercito. Anche le imperatrici erano tali solo come consorti, non a pieno titolo. Qualora un imperatore, alla sua morte, avesse lasciato un’erede femmina, la successione sarebbe passata automaticamente ad un parente maschio o ad un altro uomo.

Eppure. Perché c’è un eppure. Nonostante questi rigidi dettami, alcune figure femminili – quelle più illustri, s’intende, che godevano di qualche privilegio in più – sono riuscite a distinguersi dalla massa di silenti e passive figure variopinte che affollavano la città. Come? Potremmo definirle le “ribelli”, tre imperatrici, per una volta di nome e di fatto, che hanno deciso di prendere saldamente in mano le redini del loro destino e agire di testa loro, proprio come avrebbe fatto un uomo. 


“Bisogna confessare che, tra tutte le Imperadrici Romane, Livia sia stata quella che più delle altre abbia onorata la sua dignità, e ne abbia più decorosamente sostenuto il carattere. Augusto medesimo è a lei debitore d'una gran parte della sua gloria, poiché si sa che consigliava con lei i più importanti e difficili affari, e spesse volte seguiva le sue decisioni”.



Livia Drusilla Claudia (58 a.C. – 29 a.C.) venne maritata, giovanissima, al cugino Tiberio Claudio Nerone, repubblicano e sostenitore convinto dei tirannicidi Bruto e Cassio. Quando i cesaricidi persero, il marito di Livia decise di schierarsi a fianco di Marco Antonio, che all’epoca contendeva ad Ottaviano il dominio assoluto di Roma. Sconfitto nella battaglia di Filippi nel 42 a.C., Tiberio Claudio non scelse la via del suicidio, come i suoi alleati, ma si diede alla fuga con la moglie e il figlio Tiberio (futuro Imperatore) in Sicilia. 

Nel 39 a.C. fu concessa un’amnistia generale ai congiurati e così la famigliola poté far ritorno a Roma, dove Livia Drusilla vide Ottaviano, in quel momento l’uomo più potente della Capitale e futuro primo Imperatore, per la prima volta. Fu un colpo di fulmine istantaneo, una passione intensa, priva di qualsiasi freno o inibizione e che, ad oggi, possiamo pure giudicare eterna. Un amore che spinse il retto Ottaviano a lasciare immediatamente la moglie Scribonia e a imporre a Tiberio Claudio di accettare l’imminente matrimonio con la sua consorte Livia. Il futuro Imperatore aveva fatto bene i suoi conti: imparentarsi con la ricca e nobile gens dei Claudii era un colpo da maestro e Livia, dal canto suo, avrebbe ottenuto la protezione del più importante uomo di Roma. 

La loro unione fu talmente solida da durare fino alla morte: una vera prova d’amore per un’epoca in cui i matrimoni erano spesso dettati solo dalla convenienza. Livia si dimostrò una donna intelligente, colta e piena di ingegno, che più volte consigliò il marito nelle strategie politiche. Ottaviano la teneva talmente tanto in considerazione che le concesse alcuni privilegi assolutamente impensabili per una donna prima di allora: innanzitutto, le fu riconosciuto di ricevere statue a sua immagine, inoltre, ella poteva agire in completa autonomia, senza bisogno dell’intervento di un tutore, come invece accadeva per le altre donne, e disponeva del diritto della “sacrosantitas”: chiunque l’avesse offesa o le avesse recato danno, anche solo verbalmente, poteva incorrere in sanzioni tremende, compresa la morte.

La coppia, nonostante il grande potere, le straordinarie ricchezze e la gloria immensa, decise sempre di mostrarsi come una famiglia modesta, aderente al mos maiorum romano, evitando di apparire in modo eccessivo e rifuggendo gioielli costosi e vestiti sgargianti. Livia, perciò, diventò, 

nell’immaginario romano, il modello di matrona ideale, che si prendeva cura della casa e del marito. 

A sua volta ella fu insignita del titolo di Augusta, pertanto la si potrebbe considerare come la prima vera Imperatrice di Roma. Il suo peso politico fu talmente notevole che va decisamente catalogata come una delle donne più importanti e influenti dell’antica Roma.


“Il nome di Messalina è rimasto come il più vituperoso attributo di scostumatezza e impudicizia, di sfrenata lascivia e laida prostituzione. Questa donna, affine alla progenie dei Cesari, maritata a un Imperatore, sorpassò la triste fama delle due Giulie di Augusto e recò nel palazzo imperiale, insieme al vizio più turpe, la rabbia del sangue e delle rapine.”



Valeria Messalina (25 d.C – 48 d.C), famosa per la sua bellezza, era una delle donne più desiderate di Roma. Tuttavia, tra i tanti pretendenti, fu costretta dall’imperatore Caligola a sposarsi con Claudio, un uomo di illustrissima famiglia ma più anziano di lei di trent'anni e per di più balbuziente, zoppo e al terzo matrimonio. Claudio non era certo l’uomo a cui Messalina ambiva, ma ella non si ribellò a un ordine proveniente dall’imperatore. 

Tuttavia, il regno di Caligola durò poco: l’imperatore fu ucciso in una congiura e Claudio venne nominato il nuovo Cesare, tra lo stupore generale. Così, la raffinata e colta Messalina si ritrovò Imperatrice in giovanissima età. Le fonti antiche la descrivono come una donna crudele, capace di manipolare il marito e convincerlo a commissionare atroci punizioni. Ma, soprattutto, si narrano le sue avventure erotiche, la sua vita trasgressiva e sregolata, spesso lontana dalla corte e vissuta addirittura nei bordelli. Numerosi furono i suoi amanti, in particolare un tale Gaio Silio. Un giorno, mentre l'Imperatore Claudio si trovava ad Ostia, a palazzo Messalina e Gaio Silio si divertivano sfrenatamente ad una festa dionisiaca, durante la quale i due amanti recitarono in maniera irriverente, mettendo in scena un falso matrimonio. Claudio venne informato dell’accaduto da un servo fedele e reagì con estrema durezza, timoroso che i due volessero toglierlo di mezzo per prendere il trono. Gaio Silio non oppose resistenza e chiese una morte rapida, invece si racconta che Messalina si rifugiò negli "Horti Lucullani" (ovvero giardini di Lucullo) e fu uccisa dallo stesso Claudio per strangolamento. 

Eppure, ai giorni nostri diremmo che, in realtà, Messalina fu una donna che scelse, di sua volontà, di essere libera: libera di fare esperienze, libera di amare, libera di divertirsi in serate folli, un atteggiamento considerato decisamente rivoluzionario per l’epoca. Ma la libertà e le trasgressioni femminili, a Roma, si pagava a caro prezzo, con la condanna alla Damnatio Memoria; eppure, la sua figura non è stata affatto dimenticata, anzi. Messalina è leggendaria e continua, ancora oggi, ad ispirare per la sua fame di vita. 


“Nessuna tra le Imperatrici fece più di Agrippina parlare di sé. In lei ogni cosa fu eccelsa, o si consideri la nascita, la bellezza, i difetti, le belle qualità o finalmente le sue disgrazie.”



Agrippina Minore (15 d.C. – 59. d.C.) fu, senza ombra di dubbio, la donna più protagonista di tutta l’epoca romana. Ambiziosa e scaltra, cresciuta a pane e intrighi in una famiglia dove i tradimenti erano all’ordine del giorno, riuscì a detenere un potere pari a quello dell’Imperatore. Sorella di Caligola, la sua infanzia fu sconvolta da tragedie famigliari e lutti, causati dalle continue congiure di palazzo che decimarono i suoi parenti, ordite probabilmente dall’imperatore Tiberio, suo prozio. Il piano di Tiberio, infatti, era quello di togliere di mezzo ogni suo possibile rivale, nella costante paranoia che qualche parente gli sottraesse il trono. Fu data in moglie a un uomo che detestava e diede alla luce un figlio, il futuro Nerone. 

Alla morte di Tiberio, avvenuta nel 37 d.C., salì al trono il fratello Caligola. Gli inizi del suo regno furono promettenti e tranquilli, dopo i turbolenti anni delle congiure, ma poi la situazione cambiò in peggio con il mutare del suo comportamento, che si fece via via dispotico ed aggressivo. Così Agrippina e la sorella Livilla organizzarono l’ennesima congiura in seno a una famiglia ormai condannata a macchiarsi di sangue. Tuttavia l’assassinio fallì e le sorelle, scoperte, furono punite con l’esilio a Ponza. Agrippina fu costretta a lasciare il piccolo Nerone alle cure e all’educazione della zia paterna Domizia, di dubbia moralità. 

Caligola venne comunque ucciso nel 41 d.C. in una successiva congiura e fu nominato Claudio come suo successore, il quale permise ad Agrippina di tornare a Roma. Nel frattempo, il nuovo Imperatore era rimasto vedovo, avendo fatto condannare a morte la moglie Messalina per la sua condotta lussuriosa; così i due convolarono a nozze, nonostante lo scandalo costituito dal fatto che l’una era la nipote dell’altro. Forse Claudio, nella scelta, si lasciò sedurre dalla bellezza, dal fascino e dalle nobili origini di Agrippina, chi può dirlo. Quel che è certo è che, in breve tempo, la donna sfruttò al massimo la sua nuova posizione, tramutandosi nella figura più potente di Roma, persino più del marito, che si lasciava facilmente soggiogare da lei. Grazie al suo carisma e ai suoi modi di fare affascianti, si conquistò il favore del Senato; in seguito, con la lungimiranza guadagnata durante un’infanzia di cospirazioni, caratteristica ritenuta, al tempo, tipica degli uomini, diventò Augusta, facendo adottare a Claudio il figlio Nerone.  

Casualmente, nel 54 d.C. l’Imperatore morì in circostanze poco chiare e subito si insinuò che fosse stata proprio la consorte Agrippina ad ucciderlo col veleno. Nel frattempo, gli alleati della donna andavano già chiedendo l’appoggio delle legioni per l’acclamazione del nuovo Imperatore Nerone. Tuttavia, il ragazzo era ancora troppo giovane, pertanto Agrippina divenne la sua reggente. Da quel momento in poi, il suo potere diventò pressoché illimitato. 

Tuttavia, il giovane Nerone si dimostrò di tempra più ostinata rispetto ai suoi predecessori e iniziò a mal sopportare le continue ingerenze della madre. Il casus belli scoppiò al rifiuto di Agrippina di accettare come sua consorte l’amante Poppea Sabina; in men che non si dica, la donna venne fatta allontanare dal palazzo, senza più onori e privilegi. Nerone iniziò a tramare per ucciderla più di una volta: lo storico Tacito ci racconta che addirittura fece manomettere la nave che avrebbe trasportato la madre ad Anzio, affinché la sua morte apparisse all’opinione pubblica come un tragico incidente.  Eppure, Agrippina si salvò, raggiungendo a nuoto la costa. Allora Nerone diede l’ordine al prefetto della flotta di ucciderla nella sua villa. Le voci narrano che, in punto di morte, guardando negli occhi il suo sicario, Agrippina avesse urlato: ventrem feri!, ovvero “colpisci al ventre!”, quasi a rinnegare il suo stesso figlio, nonché mandante dell’assassinio. 

Concluso l’omicidio, Nerone inscenò una congiura fittizia ad opera della madre nei suoi confronti e dichiarò che, una volta scoperto che l’attacco era stata sventato, ella si fosse uccisa. Come si potrà facilmente intendere, l’opinione pubblica non credette particolarmente alla storia e a Roma lo sgomento per il matricidio fu molto forte e profondo. Forse già da qui si possono ricercare quei primi segnali che avrebbero portato Nerone, nel 68 d.C., ad essere dichiarato “nemico pubblico” dal Senato e al conseguente suicidio.


Tre donne diverse, tre leggende, tre grandi Imperatrici. 


Fonti: 


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