Con Nomadland, siamo di fronte ad una rappresentazione materica dell’America povera, sociale.
Il film apre gli occhi dello spettatore su tematiche molto importanti, quali le difficoltà incontrate da un enorme numero di persone di fronte alla perdita del lavoro, difficoltà che non sono solo di carattere economico, ma anche di tipo esistenziale, identitario. Inoltre, la pellicola concentra l’attenzione sulla possibilità, molto americana e forse non nota a tutti, di condurre un’esistenza nomade all’interno di un furgoncino.
La protagonista, Fern (Frances McDormand), infatti, dopo essere rimasta vedova ed aver perso il lavoro e anche l’abitazione in seguito alla chiusura dell’azienda in cui era impiegata, inizia un lungo, profondo viaggio attraverso l’America; durante questo percorso incontra numerose persone che condividono in parte il suo destino e con le quali stabilisce rapporti umanamente significativi.
Nomadland è anche un inno alla natura, ai suoi spazi e propone bellissimi scenari (in gran parte naturali, ma non solo): ricordiamo la scena che mostra un treno merci in corsa attraverso un paesaggio innevato o la messa in mostra delle svariate terre americane percorse da Fern, dalle nevi del Nevada, al deserto dell’Arizona, passando per un paesaggio boschivo abitato da bisonti.
Il film, malgrado offra immagini tutt’altro che banali ed, anzi, di grande fascino, presenta un uso della macchina da presa abbastanza classico, “descrittivo”, che non si serve di movimenti particolari od innovativi; anche il montaggio sembra seguire il medesimo principio.
Le luci, tuttavia, sono suggestive e di grande sensibilità, come dimostrano le inquadrature dei tramonti, quelle fosche e grigie dei paesaggi innevati e quelle domestiche e calde dell’interno del van di Fern. È molto interessante abbandonarsi al racconto visivo che il film fa della vita nei van, dei dettagli degli arredi, delle piccole abitudini quotidiane che chi conduce un’esistenza di quel tipo tiene presenti.
Un altro aspetto di Nomadland che è senz’altro degno di nota è la scelta dell’attrice protagonista. La McDormand, con il suo volto segnato e così espressivo, è una perfetta interprete per Fern e riesce a comunicare in modo molto efficace il senso di fiero e grintoso dolore che la contraddistingue. Questo anche grazie alla grande schiettezza, alla naturalezza della sua recitazione. Riguardo al cast, peraltro, c’è da fare un’altra considerazione: numerosi personaggi sono impersonati da attori non professionisti, nomadi che raccontano in forma romanzata la loro vicenda. Il film non è assolutamente indebolito dal lavoro di simili interpreti, che, anzi, lo arricchiscono con la stessa intensità e con la stessa umanità donate dai professionisti. Inoltre la pellicola ha probabilmente rappresentato per alcune di queste persone un’occasione di riscatto economico.
Nomadland è un’opera che riesce a trasmettere un senso di allegria e di comunità - nelle esperienze vissute dai protagonisti - , nonostante le grandi difficoltà che mette in scena. Il personaggio stesso di Fern, pur nella durezza orgogliosa con cui sembra affrontare in parte il mondo, stringe rapporti umani commoventi e lascia vedere, rare volte, lati di sé ironici e quasi fanciulleschi.
Anche il finale del film si rivela delicato e, in un certo senso, speranzoso verso un futuro da costruire faticosamente, ma ancora ipotizzabile. Molto particolare l’inquadratura che, dall’interno della vecchia casa di Fern e del marito, mostra la donna che, incorniciata dallo stipite della porta, si incammina lungo la strada, prima di ripartire con il proprio furgoncino.
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