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Immagine del redattoreManuel Gallace

Perfect Days - La ripetizione Zen di Wim Wenders

Aggiornamento: 15 ago

Nel suo ultimo film Perfect Days presentato a Cannes, Wim Wenders si addentra in un viaggio esistenzialista di poetica ripetizione quotidiana, che si rifà alla tradizione dei maestri del cinema giapponese, in particolare Yasujiro Ozu, già omaggiato nel bellissimo docufilm Tokyo-Ga nel 1985.

Il protagonista, un grandioso Kôji Yakusho, palma d'oro a Cannes per la migliore interpretazione, nel film è Hirayama (non a caso stesso nome dell'ultimo film di Ozu), un solitario uomo sui sessanta che conduce una vita abitudinaria e schematica, che viene proposta in una prospettiva positiva del vissuto quotidiano, una ripetizione volontaria e tipica di una filosofia orientale dello stare al mondo: la sveglia sempre alla stessa ora, lavarsi i denti con dei movimenti ripetitivi, l'acqua ai bonsai ogni mattina, il vestirsi per andare a lavoro e prendere il solito caffè, l'accuratezza con cui il protagonista esegue il proprio lavoro, pulire i gabinetti di Tokyo; tutto viene ripetuto giorno dopo giorno allo stesso identico modo, come una moderna meditazione che è un profondo elogio al pensiero zen del regista tedesco. La protagonista del film è la solitudine, solo inizialmente un'abitudine a un vissuto moderno e permeato di mondanità può lasciarci ingannati e far pensare ad uno stato di insofferenza di Hirayama, la sua solitudine è scelta, ed è proprio essa che apre le porte alla sua profonda percezione del bello. Le foto scattate agli alberi del parco con macchina fotografica analogica nella pausa lavoro, dove regala sorrisi agli sconosciuti, i suoi primi piani irradianti sono regali rivolti allo sconosciuto che è dietro lo schermo. Il quartiere in cui è girato il film è Shibuya, ma è ben lontano dall'immaginario comune e frenetico che ne abbiamo. E' da lì che Hirayama inizia la sua giornata colma di filosofia e musica, ovvio il riferimento del titolo del film alla Perfect day dell'amico scomparso dieci anni fa Lou Reed, ma sono anche Patti Smith, Van Morrison e altri pilastri della musica a fare parte degli ascolti del protagonista, rigorosamente su musicassette di cui mai si priverebbe; così la sua vita scorre nel suo universo analogico, abitudinaria e monacale, ripetendosi uguale ogni giorno, fino a che alcuni incontri inattesi aprono uno spiraglio sul passato e mettono alla prova la sua serenità, ma Hirayama come un alieno solitario e silenzioso si oppone al tempo che altera la città che lo circonda, oltre alle diverse abitudini dei suoi abitanti. Il protagonista ascolta la sua musica nel furgone prima del lavoro, coltiva piante, fotografa alberi, legge poesia e romanzi, ma non esprime mai un desiderio professionale legato a nessuna di queste cose, limitandosi a contemplare la bellezza, per vivere si limita semplicemente a pulire con cura i bagni pubblici della città.

La filosofia di Wenders è in controtendenza con la modernità, sovversiva, in un mondo dove si tende a vedere in cattiva luce tutto quello che non è rapportato ad un sistema lavorativo e tendente al guadagno economico delle proprie virtù, crea invece un personaggio pieno di qualità, caratterizzato da una contagiosa serenità che lo porta ad essere anticontemporaneo. L'inaspettata entrata in scena della nipote del protagonista e pochi altri gravi avvenimenti creeranno uno squarcio nella routine del protagonista, che verrà messo alla prova da ricordi dolorosi e amari, ma che culminerà in un finale che è una profonda celebrazione ed inno d'amore alla vita.

La contemplatività del bello di ogni giorno si riversa nelle notti di Hirayama: così i suoi sogni sono nature morte, ombre di rami scossi dal vento, fotografie di incantevole bellezza con cui ancora una volta il maestro del cinema tedesco omaggia Ozu, la parola che viene in mente è Komorebi, che appare anche in un'installazione di Donata Wenders nei titoli di coda, una delle parole giapponesi intraducibili nella lingua italiana, letteralmente la luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi. Impressiona come Wenders sia riuscito a darci un'immagine di una Tokyo underground così simile a quella della sua Berlino nel Cielo sopra Berlino di più di trent'anni fa. In alcune scene del film sembra di trovarci davanti ad una foto di Daido Moriyama, ancora a prova della grande conoscenza ed amore del regista per il paese del Sol Levante. Wenders a settantasette anni impartisce un'altra lezione di cosa significhi fare poesia con la cinepresa, dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, di essere tra i più grandi cineasti al mondo.


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