Recentemente mi sono imbattuta in The Circle, lungometraggio di James Ponsold del 2017.
Ad attirarmi è stato l’interrogativo proposto dal film, ovvero quanto possa essere davvero un valore aggiunto l’esistenza del mondo digitale e la sua applicazione nella vita quotidiana.
In un’epoca prepotentemente digitale, The Circle è un film che ci mostra e condanna i rischi di affidare completamente la nostra esistenza alla tecnologia. O forse no. Mi spiego meglio: l’ultima sequenza del lungometraggio lascia particolarmente perplessi, non solo perché potrebbe essere parte di uno di quei finali aperti che tanto fanno imbestialire alcuni spettatori, ma perché risulta improvvisamente ambiguo il messaggio veicolato dalla pellicola, che d’un tratto sembra non volerci più avvertire dei pericoli in cui potremmo incorrere vivendo solo di social media e tecnologia, ma piuttosto suggerirci di ritagliare la nostra esistenza facendo sempre e comunque riferimento al mondo digitale.
Mi rendo conto che perseguire tali argomentazioni continuando a non voler spoilerare nulla sia controproducente, così come lo è commentare un film partendo solo ed esclusivamente dalla sua fine, perciò facciamo un passo indietro e riflettiamo assieme sui motivi per cui l’opera di James Ponsold andrebbe vista e sì, indubbiamente analizzata, ma anche per cui è meglio prenderla con le pinze.
La trama è molto semplice: Mae Holland, una giovane assistente ai clienti interpretata da Emma Watson, viene assunta da The Circle, un’azienda che si occupa di tecnologia e social media. Il mondo in cui viene catapultata e rinchiusa (l’azienda prevede per i suoi dipendenti una sede lavorativa dotata di un vero e proprio villaggio, simile a un campus accademico, dove poter/dover vivere) mostra presto i suoi corrosivi e pericolosi scopi. Il fondatore della società, un Tom Hanks in una delle sue meno performanti prove attoriali, incoraggia a rinunciare totalmente alla propria privacy e a vivere condividendo ogni aspetto della propria vita con gli altri, grazie al potente mezzo di Internet. Lo scopo positivo e dichiarato dell’agenzia è di utilizzare la tecnologia per ogni aspetto della vita quotidiana, e di applicarla su larga scala per smantellare la casta dei potenti e ridistribuire le ricchezze in egual modo tra le popolazioni.
A livello di sceneggiatura, la scrittura è incentrata sulla trasmissione del messaggio principale, perciò altamente didascalica e poco emotiva: difficile empatizzare con i personaggi, protagonista compresa, poiché essi presentano ben poche sfaccettature; il loro spettro emotivo sembra limitarsi al tipo di personaggio che devono rappresentare (banalmente l’antagonista, che potrebbe essere individuato in Eamon, il fondatore di The Circle, non interessa, non affascina, rimane vincolato al proprio ruolo di capo intelligente ma invasato, praticamente senza scrupoli, e così lo spettatore non crederà nemmeno per un momento che in lui possa esistere il bene, e dunque una svolta).
Non esistono veri e propri colpi di scena, ogni aspetto della narrazione è utile a mostrare le possibilità, gli sviluppi, i danni della tecnologia. Fin dalle prime scene infatti, la protagonista si pone in relazione a essa (un rapporto che evolverà nel tempo), basti pensare al fatto che Mae esca in kayak portandosi dietro il cellulare e, in mezzo al mare, quando quest’ultimo squilla, decida di rifiutare la telefonata, scelta che non farà una volta entrata a The Circle, poiché le sarà presto impossibile rinunciare ai social media e alla condivisione digitale.
Ciò che il film riesce a fare è rappresentare l’inquietante controllo che il mondo digitale esercita sugli esseri umani. Il suo punto di forza è infatti costituito dalla presentazione di una realtà purtroppo ben vicina a quella dello spettatore, a quella non fictional, a quella sperimentabile ogni giorno da ognuno di noi.
Per esempio viene sollevata la questione del set up dei social media di un individuo come parte integrante del suo lavoro (cito testuali parole: “È così che gli altri sapranno chi sei”).
Non è forse vero che oggi avere un profilo social “pulito”, presentabile, chiaro, sia molto importante per gran parte delle candidature nel mondo del marketing, dello spettacolo, della comunicazione, del lavoro più in generale? Utile ma fuorviante, considerato soprattutto il fatto che l’esistenza di un ottimo account nei social media non attesti davvero le competenze dell’individuo (d’altronde quanto è facile fingere, nei social networks?).
Altro aspetto molto importante: l’azienda per cui Mae inizia a lavorare non prevede la solitudine. I rapporti con gli altri, soprattutto digitali, devono essere monitorati costantemente e coltivati, non deve esistere il silenzio o il momento di cura rivolto esclusivamente alla propria persona. Non esiste l’isolamento, solo la condivisione.
Nella società che il film presenta, tutto viene mostrato, registrato, conservato e monetizzato. C’è il cosiddetto “disprezzo della privacy”.
Secondo l’azienda The Circle e i suoi membri, la totale trasparenza del singolo (che sarà così incoraggiato, o meglio, obbligato a mostrarsi sempre, in qualsiasi circostanza, anche quella più intima) porterà all’evoluzione del mondo. Fa rabbrividire una scena in cui Mae, tornando al lavoro dopo alcuni giorni difficili, incontra Eamon e quest’ultimo commenta la sua riapparizione, fisica e digitale, dicendo: “Ciao Mae, sei di nuovo trasparente!”. Come se si potesse misurare l’affidabilità di una persona dalla quantità e qualità di informazioni riguardanti la sua sfera interiore che è disposta a condividere, anche con estranei o conoscenti, nella vita vera e nei social media. Aiuto.
Sì, un futuro distopico che inquieta, e preoccupa. Un futuro al quale Mae si sottrae, ma solo parzialmente. Ecco dove fallisce per me questa pellicola: mostra i grandissimi rischi di affidarsi incondizionatamente e assolutamente alla tecnologia come mezzo per crescere e potenziare la società, ma è come se alla fine, quando Mae e i suoi aiutanti prendono finalmente consapevolezza di questi pericoli, si decidesse comunque di giocare con il fuoco, e si continuasse a credere nella tecnologia come unico mezzo per incontrare, condividere e crescere.
Il mondo digitale, fino a prima messo in discussione e perciò presentato come problema, diventa invece la soluzione per eccellenza. Certo, chi è causa del suo mal pianga sé stesso, ma è forse possibile spegnere il fuoco attizzando la fiamma? A voi l’ardua sentenza.
Sì, è vero che, dopo la visione del lungometraggio, si rimane perplessi. Una perplessità che tuttavia solleva dubbi e considerazioni, e in ciò il film, nel suo ruolo di medium capace di trasmettere informazioni e spunti di riflessione, non fallisce.
È importante guardare The Circle per comprendere i potenziali sviluppi della tecnologia, capire quanto e in che modo se ne è influenzati, e trovare il modo, l’equilibrio giusto per migliorare la società a cui apparteniamo. Cercare una condivisione che non sia solo apparente, ma profonda, veritiera, fiduciosa.
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