Un accordo va bene, con due sei al limite, con tre è jazz
Il 27 ottobre del 2013 moriva Lou Reed.
Mi è molto mancato, o meglio mi è mancata la sua produzione artistica in questi due lustri. Mi chiedo ad esempio che album avrebbe potuto realizzare se avesse vissuto l'incredibile presidenza Trump. E mi chiedo anche che direzione avrebbe preso dal punto di vista musicale. Perché se è vero che il comune denominatore delle sue opere è il rock, l'ha interpretato in modi molto diversi tra loro.
In principio erano le sonorità uniche e seminali dei Velvet Underground degli esordi con le loro chitarre distorte o in feedback e la viola elettrica di John Cale; il sound è già completamente diverso quando arriva il successo planetario solista con Transformer, assieme a Ziggy Stardust di David Bowie, autentico manifesto glam del 1972. Regola vuole che quando sei sulla cresta dell'onda tu batta il ferro finché è caldo e Reed fa l'esatto opposto col successivo Berlin in cui le atmosfere virano sul cupo e le sonorità ci rimandano agli anni '40 del secolo scorso. Già per il tour di promozione, però, la scelta di una band di musicisti virtuosi trasforma le nuove canzoni e quelle di repertorio in pezzi quasi hard rock per l'ennesima svolta del Rock'n Roll Animal. E gli anni '70 continuano a essere non lineari toccando il picco della sperimentazione (provocazione?) con gli oltre 70 minuti di feedback di Metal Machine Music. Il decennio successivo parte bene ma, verso la metà, Reed finisce per cadere (come quasi tutti i rocker) nelle sonorità pop che stanno dominando prima con un album pieno di buone idee che però vengono addomesticate da questo sound (New Sensations) e poi con quello che considero il punto più basso della carriera, Mistrial, in cui latitano sia il rock che le idee.
Il finire del decennio però segna l'avvento di tante nuove band (Guns'n Roses e Nirvana quelle di maggior successo) che riportano il nostro amato genere in cima alle classifiche e nei cuori dei teenagers aiutando anche la rinascita dei vecchi rocker. E Lou Reed torna alla grande con l'album New York che è uno dei suoi più grandi lavori di sempre. Nelle note di copertina mette bene in chiaro le caratteristiche del nuovo corso scrivendo: "Non puoi battere due chitarre, una basso e una batteria". E proprio il connubio tra questi strumenti segnerà, con rarissime eccezioni, gli album e le performance live di Reed dei successivi 11 anni. Nel 2000 l'ultimo atto di questo assetto è segnato dall'ottimo Ecstasy il cui successivo tour mondiale contiene spettacolari riarrangiamenti dei pezzi di repertorio. Durante questo lasso di tempo lungo 11 anni le distorsioni e i feedback di chitarra tornano a farla da padrone ma Lou trova anche il tempo nel 1997 per un tour semi acustico immortalato dall'album Perfect Night Live in London in cui dimostra che questa combinazione di strumenti funziona alla grande anche in versione soft. Col successivo The Raven Reed mette in piedi un'operazione molto ambiziosa che è quella di riscrivere in chiave moderna Edgar Allan Poe con canzoni e reading accompagnati da musica e suoni. Per le parti recitate vengono assoldati attori del calibro di Willem Dafoe e Steve Buscemi. Poe è sempre stato fonte di ispirazione per la scrittura di Reed in quanto entrambi si sono interrogati spesso sul perché l'essere umano sia attratto dal compiere azioni riprovevoli, sbagliate. Considerando The Raven nella sua interezza è un lavoro sicuramente riuscito, andando invece a estrapolarne solo le canzoni, per quanto varie e arricchite da prestigiosi ospiti, costituisce un passo indietro rispetto alle vette toccata dai precedenti album. Il successivo tour segna un ulteriore cambio di direzione: via la batteria dalla lineup della band e largo al violoncello di Jane Scarpantony e ai cori dell'allora poco conosciuto Antony (tour documentato dal live Animal Serenade). E poi Metal Machine Trio coi droni, un album di musica ambient e uno assieme ai Metallica capace di scontentare i fan di entrambi gli artisti. La vita di Lou Reed è finita prima che terminasse la sua sperimentazione e vedere proprio in questi giorni i suoi quasi coetanei Rolling Stones uscire con un nuovo, quantomeno interessante, album rafforza in me questa convinzione.
L'arte che ci ha lasciato in dote Lou Reed rimane comunque corposa da ascoltare, riascoltare e approfondire.
Venerdì 27 Radio Nowhere celebra il decennale della scomparsa di Reed con una puntata speciale di Now and Here sul poeta Newyorkese che, senza porsi minimamente l'obiettivo di raccontare tutto in un'ora, si limita a collegare tra loro alcune canzoni di varie epoche. L'episodio andrà in onda alle 18 e in replica alle 22. Nel primo caso preceduta da mezz'ora di selezione musicale tematica e nel secondo caso seguita dalla stessa.
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