Questa sera la puntata di Love you Live sarà dedicata ai Ramones e, per la prima volta, sarò affiancato da un’altra voce, quella di Maury che della band americana è un grande appassionato.
Tante storie, aneddoti, opinioni ma soprattutto tante canzoni di meno di due minuti suonate una dietro l'altra e introdotte da dei: “1,2,3,4” rigorosamente fuori tempo. Attraverso i due album dal vivo ufficiali dei Ramones, It’s Alive e Loco Live, li ascolteremo nella fase quasi iniziale e quasi finale della loro ventennale carriera.
Ma, per fare questo, lasciatemi prima distinguere il contesto che differenzia il primo gruppo punk della storia, i Ramones, dal seguito di maggior successo commerciale in Inghilterra.
Lo spiega Legs McNeil inventore della rivista Punk, che ha visto il fenomeno crescere e deflagrare perché nel 1976 aveva 20 anni, l’età giusta e abitava a New York, il posto giusto.
«Il punk era una novità assoluta, era il presente, era un’apoteosi, era potente. Ma non aveva niente a che vedere con la politica. Cioè, forse anche essere apolitici è una forma di politica. Quello che intendo dire è che la cosa bella del punk è che non aveva obiettivi politici. Si trattava della forma più vera di libertà, la libertà personale. Si trattava anche di adottare qualsiasi comportamento potesse rivelarsi offensivo per gli adulti. Ci si sforzava di essere il più offensivi possibile. Il che ti dava una sensazione magnifica, davvero euforica. Ricordo che le mie nottate preferite erano quelle in cui mi sbronzavo e andavo a passeggiare nell’East Village e a tirare calci ai bidoni della spazzatura. Contava solo la notte. Solo la notte. Non vedevi l’ora che passasse la giornata e tornasse la notte. Perché di notte potevi uscire. Era entusiasmante. E canticchiavi queste canzoni splendide e poteva succedere di tutto e di solito erano cose piuttosto belle. Magari rimorchiavi una ragazza, avevi un’avventura, vivevi una fantasia che non avevi mai sperimentato prima.
Dopo che per quattro anni tutti ci avevano riso dietro per la rivista Punk, all’improvviso tutto era diventato “PUNK!”.
Ero a Los Angeles, alloggiavo al Tropicana e uscivo con i Ramones e Alice Cooper quando i Sex Pistols atterrarono ad Atlanta. Fu una cosa molto bizzarra perché i Pistols stavano girando tutta l’America e ogni sera al telegiornale si vedevano scene di pura isteria. E man mano che procedeva il tour si verificava una specie di mutazione e tutti i ragazzini – e ti parlo di Los Angeles, non oso immaginare cosa succedesse nel resto del Paese – avevano cominciato a infilarsi spille da balia in faccia, portavano i capelli con la cresta e brutture del genere.
Io dissi tra me e me: “Ehi, aspetta un momento! Non è questo il punk – un taglio a cresta e una spilla da balia? Che cazzo di storia è questa?”. Voglio dire, dopotutto noi eravamo la rivista Punk. Il nome lo avevamo inventato noi, e avevamo definito il punk come cultura rock & roll underground americana che esisteva già da quasi quindici anni con i Velvet Underground, gli Stooges, gli MC5 e tutti gli altri.
Quindi il concetto era: “Se volete creare un vostro movimento giovanile va benissimo, ma giù le mani da questo, è già preso”.
Ma se esprimevo la mia obiezione, mi sentivo rispondere: “Tu non puoi capire. Il punk è cominciato in Inghilterra. Sai, lì tutti vivono con il sussidio di disoccupazione, loro sì che hanno dei problemi veri. Il punk ha a che fare con la lotta di classe e con i conflitti economici e bla bla bla”.
Quindi io rispondevo: “Già, be’, e allora cosa cazzo ci faceva qui Malcom McLaren quando gestiva i New York Dolls e andava a sentire Richard Hell al CBGB?”.
Ma non si poteva competere con quell’immagine di spille da balia e capelli a cresta.»
Appuntamento stasera alle 21 per la diretta su www.radionowhere.it
Fonte dell’intervista: Please Kill Me di Legs McNeil e Gillian McCain
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