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Immagine del redattoreGiorgia Micucci

Stefano Bicini, l'iconoclasta gentile venuto dall'Umbria

Aggiornamento: 15 ago

Dall'Umbria fino a New York, la voce mutevole di Stefano Bicini si è distinta nel panorama artistico contemporaneo degli anni Ottanta.

Dopo l'Accademia delle Belle Arti di Perugia, nel 1980 si trasferisce negli Stati Uniti dove acquista notorietà con il suo stile pittorico catartico e minimal, opere in bianco e nero che lasciano intendere un desiderio di ordinaria libertà nel caos di Manhattan; solo dal 1984 in poi nei suoi lavori appare il colore, cimentandosi nella gestualità del dripping mantenendo un garbo nell'azione che sembra quasi stonare a prima vista nella citazione per poi dando alle opere una paradossale armonia.

Perché è questo che trasmette la sua arte: un impeto garbato, la rassicurante aura della tradizione pittorica italiana abbracciata all'energia dei movimenti artistici contemporanei del tempo, tra graffitismo e concept art.



Si fa notare da Henry Geldzhaler, scopritore di Jean Michel Basquiat, stringe rapporti profondi con artisti del calibro di Joseph Kosuth e Louise Nevelson; le forme si ammorbidiscono, si increspano grazie all'uso della carta di riso e alla foglia d'oro, vengono ispirate dalle correnti orientali mantenendo sempre una traccia esistenzialista. I materiali cambiano come la sua ricerca di calma tempestosa: pigmenti e pastelli, inchiostro, sovrapposizioni, tele e carta, fogli acrilici ed incisioni.

Il segno passa dal tocco soave alla forma intangibile nella sua astratta concretezza delle forme geometriche.



Il progetto Alley, compiuto durante un periodo emotivo particolarmente buio, acuisce l'impronta esistenzialita della sua arte sovrapponendo i dedali di vicoli del Greenwich Village alla sua condizione fisica.

Dopo un incidente in montagna, dagli accertamenti medici che ne seguirono scoprì nel 1997 di aver contratto l'HIV, e dal caos del Village fu costretto a ritornare in Umbria, dove un sistema sanitario umano (a differenza di quello statunitense) e una rete di associazioni volontarie lo affiancano.



La parte destra del corpo paralizzata e una malattia che ancora oggi purtroppo viene considerata uno stigma sociale tentano di tarpare le ali di un uomo che da indipendente finisce costretto ad essere accudito; ma Stefano non si arrende.

Dipinge con la mano sinistra, si fa aiutare a montare le tele, nonostante le ridotte dimensioni dei lavori non perde la dolce impetuosità della sua arte.

Quando sente vicina la fine, chiede di mettere tutte le sue opere all'asta e di mandare tutti i proventi alle realtà locali dedite alla ricerca e cura sul cancro e l'AIDS, in memoria dei troppi affetti persi dall'artista.

Stefano Bicini muore il 28 Ottobre del 2003, la malattia che lo ha colpito ha cercato di avvolgerlo nel silenzio, ma la sua voce monocromo e variopinta, rettilinea e curva ha raggiunto Amsterdam e Vienna, Friburgo e New York: dal progetto Kite con la poetessa Anna Maria Farabbi, da The thin red line al manifesto di Umbria Jazz del 1997.


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