I Deep Purple hanno comunicato ieri l’abbandono definitivo della band da parte di Steve Morse. Il chitarrista era entrato a far parte del gruppo nel lontano 1995. La band inglese è da tempo in tour con un sostituto, Simon McBride che avrebbe dovuto essere un rimpiazzo temporaneo. Morse aveva infatti annunciato uno stop all’attività live causato da un cancro che ha colpito la moglie Janine che richiedeva la sua assistenza. Il musicista americano aveva spesso ribadito che, pur non essendo il primo chitarrista dei Deep Purple, avrebbe voluto essere l’ultimo, ma i mancati segnali di miglioramento di Janine lo hanno spinto a privilegiare, giustamente, l’aspetto familiare.
Morse ha avuto senza ombra di dubbio un ruolo fondamentale per la sopravvivenza e il rilancio dei Deep Purple fin dal momento del suo ingresso in formazione. La band inglese era infatti reduce dall’abbandono dello storico chitarrista Ritchie Blackmore, avvenuto alla fine del 1993, e da un tour in cui il Man in black era stato sostituito (ottimamente) da Joe Satriani che però non era disponibile a rimanere in pianta stabile.
A quel punto i Deep Purple hanno fatto ciò che hanno sempre fatto nella loro storia che oggi è più che cinquantennale e composta da otto diverse formazioni: non cercare un clone del predecessore ma un musicista con uno stile diverso, proprio, perfino americano tra quattro inglesi.
Steve Morse si è calato con umiltà nella band ma rimanendo allo stesso tempo se stesso e questo si percepisce sia dal rinnovato sound in studio con Purpendicular del 1996, sia dalla sua interpretazione personale dei vecchi classici in concerto e in particolare dal suono della chitarra così riconoscibile e allo stesso tempo diverso da quello del predecessore. I Deep Purple che aveva trovato erano una band succube di Blackmore che voleva suonare sempre lo stesso concerto che si doveva aprire con Highwway Star, chiudere con Smoke On the Water e nel mezzo aveva i soliti classici più qualche canzone dell’album nuovo di turno. Con Morse invece il gruppo ha iniziato a sperimentare, a recuperare dal vivo album dimenticati come il sottovalutato Fireball del 1971 di cui sono stati eseguiti alternativamente quasi tutti i pezzi, o Who Do We Think We Are e a scoprire anche le altre canzoni di In Rock e Machine Head oltre alle solite note.
Da alcuni anni Steve Morse soffriva di problemi di artrite che gli causavano dolore a suonare e così, a un certo punto, si è dovuto reinventare un modo completamente diverso di approcciarsi alla sua chitarra per poter proseguire: questo è avvenuto alla vigilia della pubblicazione dell’album Infinite del 2017, il secondo prodotto da Bob Ezrin dopo l’acclamato Now What?!. Infinite è, a mio avviso, l’album più riuscito dei Deep Purple da Perfect Strangers del 1984 e l’abilità di Morse, non è più in grado di sprigionare cinquanta note al secondo, è proprio quella di compensare la ridotta quantità con ancora maggior attenzione alla qualità.
Un grosso in bocca al lupo a Janine, a Steve e un ringraziamento per questo quarto di secolo abbondante di emozioni coi Deep Purple.
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