Quando scavi a fondo accade di trovare tra le mani qualche perla rara o un reperto dal valore inestimabile. Con i Chameleons succede questo.
Una band nata a Middleton nel 1981 che ha ispirato tantissimi gruppi e che purtroppo non ha avuto il tempismo di grandi nomi come gli U2, i Cure o gli Smiths. Ebbene bisogna precisare questo passaggio in quanto il gruppo in questione non ha nulla da invidiare alle pietre miliari citate se non il poco carisma del talentuoso frontman, Mark Burgess. Carisma e talento, però, sono due cose differenti e quest’ultimo nel sound dei Chameleons era decisivo. Il nostalgico Burgess sapeva coniare testi e melodie come in pochi sapevano fare. Script Of The Bridge è uno dei loro capolavori, un disco, questo, che ha messo le radici a svariati generi diventando un vero e proprio punto di riferimento. Ogni canzone dell’album ha una storia e un significato preciso, dunque, qualcosa da raccontare. Dont’ Fall apre il disco e la partenza possiamo confermare che è davvero suggestiva considerando il ritornello trascinante. Stesso discorso vale per Monkeyland, una canzone dedicata appunto alla loro città, in quel periodo cupa e grigia. Passiamo direttamente ai giri di chitarra di Up The Down Escalator: eleganti e affini al cantato di Mark Burgess. In Less Than Human, invece, si sottolinea quello stato d’animo nostalgico del frontman, questa, una caratteristica che lo accompagnerà per diverso tempo. È il momento di menzionare As High As You Can Go, per chi scrive, si tratta della canzone più bella del disco con la sua coinvolgente melodia e la soave voce di Burgess. Un connubio perfetto. Arriviamo direttamente a View From a Hill, una traccia malinconica che chiude il disco con la voglia di ascoltarlo ancora per una volta. Insomma, i Chameleons hanno segnato un tratto della storia della musica new wave e post punk, ascoltarli è obbligatorio.
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